Filomena Cipriani

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Dzimšanas datums:
06.04.1908
Miršanas datums:
28.07.1988
Mūža garums:
80
Dienas kopš dzimšanas:
42396
Gadi kopš dzimšanas:
116
Dienas kopš miršanas:
13063
Gadi kopš miršanas:
35
Tautība:
 itālis
Kapsēta:
Norādīt kapsētu

Filomena Cipriani (6 April 1908 - † 28 July 1988)

Cook and housekeeper in Rome


For many people, she was the "Zia Filomena". A person of respect. If she said something, it was obeyed. She was very popular and sociable and was an excellent cook (chef to the President of the Italian Republic). Mother of  Isolina Cipriani (1933 - † 1950) and sister of Vincenzo Cipriani (1905 - † 1991) and Maria Cipriani (30.09.1920 -  2010)

Her daughter Isolina Cipriani (1933 - † 1950)  committed suicide at the age of 17. Gianni Padoan, a writer, wrote a long article about Isolina Cipriani, which he published in 1950.

Website: " Anna Magnani e il suo tempo" 

An excerpt from this long article by Gianni Padoan:

"Triste favola vera di Isolina Cipriani

Quella sera, alla « Concordia », era appunto in compagnia del titolare di una agenzia fotografica di Piazza Barberini. Lui le mostrava le fotografie. che le aveva appena fatto, belle fotografie davvero; il suo volto era fotogenico e espressivo, la cornice dei capelli biondi metteva in risalto i suoi occhi scuri, le sue labbra ben tagliate che a volte assumevano dei tratti amari e pensosi. Perciò Isolina era allegra: in quelle fotografie si vedeva quale sperava di diventare in pochi mesi, bella, ammirata, corteggiata; e questo forse la spingeva a ricambiare gli sguardi di alcuni cineasti, approfittando delle disattenzioni del suo accompagnatore; a fare un inabile tentativo per parlare ad uno di quelli, un regista che si mostrava più audace degli altri.

Io, quella sera, ero ad un tavolo accanto al suo, e la osservavo: una povera bella ragazza, troppo illusa e troppo allettata da un impossibile miraggio, facile preda di tutti gli egoismi, di tutte le vanterie, di tutte le promesse. Dopo un’ora, la ritrovai a Via Veneto, allo «Strega »: era ancora con il suo accompagnatore, in un tavolo circondato da altri tavoli, in cui ridevano, scherzavano, si divertivano gli « arrivati ». Lei, Isolina, non aveva occhi per tutti, era affascinata da quei nomi che lei ben conosceva, era lusingata dal fatto che tutti le rivolgessero uno sguardo, un sorriso. Anche lei sarebbe diventata una grande attrice, ne era sicura; quella sera, era decisa a tutto; e, forse per la prima volta, non reclinava gli occhi di fronte a quegli sguardi, ma li ricambiava, sorridente.

Quella sera Isolina si faceva davvero notare; e fra i vari cineasti si era ingaggiata una scherzosa gara a chi poteva conoscerla per primo. Alessandrini era fra quelli; e quando si liberò il tavolo vicino ad Isolina, approfittò della coincidenza. A far « attaccare discorso» ai due, fu il cane del regista, un grosso e simpatico barbone nero che vagava di tavolo in tavolo, e che a un certo punto si fermò ad annusare la ragazza. Il regista e la ragazza rimasero così a chiacchierare a lungo, senza curarsi del paziente fotografo. Quando quest’ultimo si alzò, Isolina salutò Alessandrini con un « arrivederci»; passando dinanzi a un altro tavolo, sussurrò un « ciao » al regista della « Concordia », capitato anche lui a Via Veneto, come è obbligo. E con un vago senso di pena, feci dentro di me l’abusato paragone della falena che si è bruciata le ali: ormai si era gettata nella ragnatela: non sarebbe più riuscita a districarsi. Desiderava il successo; ora, Isolina era sicura di averlo nel pugno: ma sarebbero finite, per lei, le illusioni, le disillusioni? La incontrai per la terza volta una mezz’ora dopo: e mi fece scrollare la testa quel portone di Piazza Barberini che si dischiudeva dietro di lei ed il suo accompagnatore.

Ma Isolina continuò a pensare al regista che aveva appena conosciuto. Si rividero, Alessandrini si mostrò ancora cortese con lei; divenne il suo protettore. La fece trasferire alla Pensione Patti, proprio nel punto più bello di Via Veneto. E qui di quando in quando raggiungeva Alessandrini, appena questi le telefonava. Isolina rimase incantata dal regista, dalle sue cortesie; e sperava nel suo interessamento per realizzare il suo sogno più grande: del resto, Alessandrini le aveva promesso che presto le avrebbe dato la parte principale in un suo film, in cui avrebbe raccontato la storia della ragazza.

Ma organizzare un film non è una cosa facile, anche se si è Alessandrini, e anche se si ha davvero l’intenzione di farlo. Così, quando mi capitò ancora una volta di incontrare Isolina, fu a Cinecittà, dove lei era riuscita ad ottenere una modestissima particina come comparsa nel Quo Vadis?, I due continuavano a vedersi; il regista spesso passava a prenderla allo « Strega »; e lei, che trascorreva quasi tutto il giorno nella cameretta della sua pensione, recitando allo specchio, era sempre pronta a correre giù non appena le giungeva una di quelle tanto attese telefonate. Lo avrete capito, la cosa non è nuova: da quell’incontro casuale, forse scherzoso da una parte, forse interessato dall’altra, nel cuore della povera fanciulla diciassettenne si era incuneato, come uno spillo velenoso, un amore irragionevole, passionale, morboso per il suo« Goffredo».

E questo nome — Goffredo — ripeteva ancora, con disperazione, con accoramento, invocando di vederlo ancora una volta, quando Federico Fecchi — il portiere dello stabile di Via Veneto 155, in cui è la pensione Trapani, dove Isolina si era trasferita quando con un pretesto era stata quasi messa alla porta dalla signora Patti — la raccolse sanguinante, con le gambe spezzate, nel cortile in cui Isolina si era gettata da una finestra del quinto piano, in quel tragico primo pomeriggio del 25 settembre.

Poche ora prima di compiere quel gesto folle quanto il suo amore, Isolina aveva rivisto il regista. È facile presumere come andò il colloquio.

Dall’inchiesta è risultato che anche il giorno prima Isolina aveva tentato di suicidarsi, prendendo una forte dose di Veronal: ma non abbastanza forte per ucciderla, appena sufficiente per farla dormire molte ore profondamente. Ma cinque piani non perdonano. Dopo sette ore e mezzo di agonia, durante le quali ebbe soltanto pochi momenti di lucidità in cui invocò nuovamente il suo Goffredo e implorò perdono da Regina, la donna che Alessandrini sposerà appena ottenuto il divorzio, e che era tornata a Roma, da pochissimi giorni, Isolina chiuse la sua triste esistenza, alle 21,30, in una corsia del Policlinico.

Scusatemi, cari amici, se oggi in queste pagine — destinate a raccontare fatti e notizie di tutt’altro genere, che sempre cercano di essere allegre, informative — vi ho raccontato questa melanconica favola vera: la favola di una povera ragazza illusa dal cinema, disillusa dalla vita; illusa dall’’apparenza, disillusa dalla sostanza. Scusatemi, cari amici, se vi ho raccontato questo.

Ma vorrei che, su questo brutto episodio di cronaca nera, vi soffermaste a meditare per qualche secondo, per cercarne da voi la morale che c’è in ogni favola."

 

 

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